l tema “Natura 2000, Aree Protette e Agricoltura Sostenibile. Opportunità, Esperienze e Buone pratiche dello Sviluppo Rurale 2014/2020” è stato al centro di un seminario organizzato all’Auditorium del Ministero dell’Ambiente, a Roma, promosso dal Ministero delle Politiche Agricole e dal Crea-Centro di Ricerca Politiche e Bioeconomia, in collaborazione con lo stesso Minambiente nell’ambito del progetto 23.1 “Natura 2000, Biodiversità e Aree Protette. Programma Life” della Rete Rurale Nazionale.
L’iniziativa è stata una occasione di confronto tra le Autorità di gestione dei Programmi di Sviluppo Rurale 2014/2020, gli organismi pagatori, i funzionari responsabili delle diverse misure dei Psr e quelli delle Regioni responsabili dell’attuazione della Rete Natura 2000, agli Enti gestori dei siti della rete Natura 2000 e delle aree protette nonché al partenariato economico e sociale della Rete Rurale Nazionale e alle Agenzie ed enti nazionali e regionali per l’agricoltura e l’ambiente.
Obiettivo del seminario è stato quello di promuovere l’incontro, il confronto e la raccolta di manifestazioni di interesse, coinvolgendo tutti gli stakeholder nazionali e regionali sui temi di Natura 2000 e della biodiversità, delle aree protette e dell’agricoltura sostenibile, sulla base delle opportunità, delle esperienze e delle buone pratiche dello sviluppo rurale 2014/2020, anche in riferimento alle prospettive post 2020.
Nello specifico, nel pomeriggio si è svolta una tavola rotonda sul tema agricoltura, sviluppo rurale e Natura 2000 con il coinvolgimento dei principali attori della Rete Rurale, tra cui Coldiretti, che incentrato il proprio intervento su un tema di assoluta rilevanza per le imprese agricole ricadenti nella aree Sic e Zps e cioè quello relativo alla mancata attuazione, nei Programmi di Sviluppo Rurale Regionali, delle indennità prevista per le imprese operanti nei siti Natura 2000 (misura M12).
Come è già avvenuto in passato, per la programmazione 2007 – 2013, infatti, un’insufficiente interesse, da parte delle Amministrazioni regionali, nell’attivare o nel dare piena attuazione alla misura, ha messo le imprese agricole nella condizione di non poter beneficiare delle indennità previste dai Psr, con conseguente mancata compensazione della riduzione di reddito derivante dai vincoli loro imposti.
Rispetto alla programmazione attuale, infatti, i dati sull’avanzamento della spesa al 15 ottobre 2017, evidenziano come, a fronte di una spesa pubblica programmata pari a 101.078.491,38 euro, la quota destinata alla misura M12 sia stata solo di 1.180.809,71 euro, pari all’1,22% del sostegno complessivo. Questa percentuale relega l’attivazione della misura agli ultimi posti nello stato di avanzamento dell’impiego delle risorse.
Nell’ambito della programmazione 2014-2020, infatti, non hanno attivato la misura M12 le regioni e province autonome di Abruzzo, Bolzano, Calabria, Campania, Lazio Molise, Puglia, Sardegna, Toscana Trento e Veneto. Anche per le Regioni che hanno attivato la misura, inoltre, si registrano difficoltà che ne limitano l’appetibilità per i beneficiari finali.
Sul punto, le Regioni sostengono di non avere i parametri di riferimento per provvedere a calcolare le indennità spettanti alle singole imprese agricole per compensare i costi aggiuntivi o i mancati redditi percepiti dagli agricoltori per essere soggetti a vincoli ambientali.
Citando alcuni esempi, infatti, se il piano di gestione di una Zps prevede di tutelare la presenza di una particolare specie dell’avifauna, l’agricoltore potrebbe essere obbligato a modificare le pratiche agronomiche con conseguente aumento dei costi di produzione e riduzione del reddito agricolo. Questi vincoli possono essere rappresentati, ad esempio, dall’imposizione del ritardo nello sfalcio dei prati per evitare la distruzione delle covate di alcune specie, dal divieto di superare una certa densità di pascolo per non disturbare la riproduzione a terra di determinate specie di uccelli, dall’obbligo di lasciare fasce tampone inerbite lungo le zone umide per ridurre l’eutrofizzazione delle acque o, ancora, dal divieto di conversione ad altre colture quando alcune specie di uccelli dipendono specificamente da certi tipi di coltivazioni (es. uliveti, risaie, ecc.), ecc.
Sempre sulla mancata attuazione della misura, le Regioni si giustificano anche sostenendo di avere difficoltà oggettive a realizzare la rete di monitoraggio e i controlli richiesti dalla Commissione Ue relativamente alla concessione delle indennità.
Purtroppo, tale situazione sta creando uno svantaggio competitivo tra le imprese agricole ricadenti nelle aree della rete Natura 2000 e quelle che ne sono al di fuori. Le Amministrazioni territoriali dovrebbero, quindi, sollecitare gli enti locali ad adottare gli strumenti di gestione previsti dalla legislazione vigente senza i quali Rete Natura 2000 rischia, in Italia, di trasformarsi in un handicap, piuttosto che in un’occasione di sviluppo sostenibile, per molte aree rurali.
Più volte in questo contesto Coldiretti ha ribadito il ruolo centrale che le imprese agricole possiedono nella realizzazione degli obiettivi di conservazione e di valorizzazione dei siti Nat2000 e la necessita di un diretto coinvolgimento della parte agricola nei Piani di gestione dei siti, al fine di garantire il rispetto di quanto indicato dalle linee guida comunitarie sulla realizzazione della Rete.
Le linee guida comunitarie evidenziano, infatti, come l’obiettivo di conservazione ambientale debba conciliarsi con l’esercizio delle attività economiche nei siti che non sono oggetto di tutela assoluta (come nel caso dei parchi), e cioè in quelle aree in cui la tutela ambientale consente anche l’esercizio di attività reddituali, tra le quali, in primis, quelle legate ad un modello di agricoltura multifunzionale.
E’ evidente che se gli agricoltori continuano ad essere esclusi dalla fase di elaborazione dei Piani di gestione dei siti o, seppure coinvolti, si profilano vincoli per cui non è, ad esempio, neanche possibile aprire, in un sito della Rete, una bottega di Campagna Amica per la vendita e la promozione dei prodotti agricoli ottenuti nell’area oggetto di tutela, si rischia di creare un clima del tutto sfavorevole all’adozione delle misure di conservazione previste.